L’ennesima crociata del cattolicesimo oltranzista in crisi d’identità contro serie televisive ed horror di serie B.
Siamo perfettamente coscienti del fatto che l’Italia sia un paese a laicità limitata, in cui una religione maggioritaria pretende di ridisegnare continuamente i confini della libertà personale dei cittadini negli ambiti più svariati, quindi ci stupiamo poco dei continui rigurgiti censori del fondamentalismo cattolico, nonostante la recente svolta ‘progressista’ della Chiesa annunciata da Papa Francesco nel tentativo di restituire credibilità all’istituzione che rappresenta.
Solo nell’ultimo mese infatti, mentre dopo 25 anni ed una lunghissima, controversa, vicenda giudiziaria la Cassazione ha scagionato un’opera cinematografica di grandissimo valore come ‘L’Ultima Tentazione di Cristo’ di Martin Scorsese dall’accusa di blasfemia, con la motivazione che nessun privato cittadino ha diritto ad intralciare o addirittura bloccare "manifestazioni di pensiero contrarie alla visione della morale della vita secondo i principi della religione cristiana", l’ala cattolica meno tollerante è tornata a prodursi in una serie di polemiche sterili, con argomentazioni perlopiù discutibili degne di ben altre e più cupe epoche, contro forme d’espressione sostanzialmente innocue come film e serie televisive.
È di pochi giorni fa la notizia che l’Aiart, associazione di telespettatori cattolici, ha avanzato alla dirigenza di Rai 4 la richiesta d’immediata sospensione della messa in onda degli episodi de ‘Il Trono di Spade’, serie fantasy che sta macinando record impressionanti di popolarità appassionando milioni di telespettatori in tutto il mondo.
Luca Borgomeo, 72 anni, presidente dell'associazione, ha sottolineato nel telegramma inviato al Direttore Generale della Rai, Luigi Gubitosi, come il pubblico che rappresenta non gradisca la popolare serie tv (giudicata dalla stragrande maggioranza degli spettatori un autentico capolavoro), in quanto opera di autori ‘depravati’, tuonando: "Il programma è volgare, pornografico con insistite scene di violenza e di sesso, quasi gli autori fossero impegnati ad ottenere l’oscar della depravazione. E' tollerabile che la Rai, servizio pubblico, alle 21 entri con un programma a luci rosse nelle case degli italiani? Si obietta che basta cambiare canale per non subire lo squallido programma: certo, ma perché in un Paese civile si deve sopportare l’incultura del servizio pubblico radiotelevisivo? La risposta amara è semplice: chi viola il buon senso e sperpera danaro pubblico è sicuro di non incorrere in sanzioni; chi dovrebbe erogarle è in tutte altre cose affaccendato!".
Carlo Freccero, direttore di Rai4, non ha tardato a sua volta a rispondere con altrettanto vigore: “Su questa serie ci sono decine di pubblicazioni e corsi di filosofia nelle università americane, come si fa a definirla pornografica? Borgomeo mi odia perché faccio una televisione libera e non talebana. Ma io lo perdono, e prego per lui. Quando sento queste cose capisco il dramma delle persone condannate dai fondamentalisti”.
Il direttore, già bersaglio d’attacchi strumentali (ripresi dal quotidiano Libero che ha continuato per giorni ad utilizzare nei confronti di Rai 4 l’intrigante espressione “PornoRai”) a causa d’un altro serial a puntate, ‘Fisica e Chimica’, colpevole di trattare temi legati alla sessualità, ha anche specificato che la serie: “è universalmente riconosciuta come uno dei vertici assoluti della Tv di qualità. Certo affronta contenuti adatti a un pubblico maturo, e come tale viene trasmessa da Rai 4, con tanto di bollino rosso e alcuni tagli per il passaggio in prima serata. La brutalità e la sessualità del Trono di Spade non hanno però lo scopo di traviare il pubblico, ma di trattare il mondo diegetico con il realismo imposto dal racconto in modo relativamente inedito per il genere fantasy”.
Insomma da ambo le parti i toni sono stati piuttosto vibranti, ma mai quanto le emozioni suscitate nei telespettatori dai personaggi delineati da George R. R. Martin nei suoi fortunati romanzi e poi perfettamente riproposti sul piccolo schermo, grazie a casting accurati ed una produzione da colossal.
E c’è da dire che questo serial, inizialmente presentato della rete statunitense HBO come fantasy adulto - senza fate ed elfi per intenderci – in sostanza si basa su una trama che se da un lato ricorda vicende storiche come gli intrighi dei Borgia o le lotte fratricide dei Plantageneti, ispirata alla storia medievale e rinascimentale dunque e tanto più di grande presa per un pubblico come quello nostrano che s’appassiona ai giochi di potere per conquistare il Trono di Spade con una sorta di continuo, trasognato, dejà vu, d’altra parte è pensata per risvegliare nello spettatore il senso sopito del favoloso, della fiaba, data la presenza di creature e situazioni come draghi sputafuoco o magia che ci rimandano a quel patrimonio familiare d’epica e mitologia su cui s’è formata la nostra cultura, la memoria ancestrale dell’Occidente.
Tutto sommato il Trono di Spade mostra violenze, duelli, incesti, tradimenti in maniera non eccessivamente dissimile da capisaldi della letteratura mondiale come l’Edda di Snorri Sturluson, il Nibelungenlied o l’Odissea. Ciò detto, dato che la succitata serie viene trasmessa alle 21,10 del giovedì, in una versione già abbastanza “tagliuzzata” dalla censura mentre solo alle 23.20 del giorno dopo è possibile visionare quella integrale (come sottolineato dal direttore Freccero), vorremmo ricordare al sig. Borgomeo che sebbene esprimere dissenso quando qualcosa offende la propria morale sia perfettamente lecito, non è lecito pretendere d’imporla ad altri, liberi a loro volta di coltivare sistemi di valori del tutto differenti, che in una democrazia matura vanno tutelati non avversati con intransigenza degna di cause migliori.
Va da sé che la redazione di Rai 4 ha confermato in una nota successiva alle diatribe di cui sopra che “la messa in onda de Il Trono di Spade avviene regolarmente come da palinsesto, avendo anche ottimi ascolti che ne confermano l’ottima fattura".
Fattura …fattura?! Quest’ambigua parola sinonimo di sortilegio o malocchio (dai tempi del tristemente noto ‘malleus maleficarum’ associata all’attività di streghe e maliarde varie) ci riporta alla recente cronaca, ad un’altra veemente polemica accesa qualche settimana fa da Mons. Luigi Negri, Vescovo di Ferrara molto vicino a Comunione e Liberazione, contro le scelte della Commissione per la revisione cinematografica, facente capo al Dipartimento dello Spettacolo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che ha addirittura minacciato di querelare lo Stato italiano per aver permesso che ‘Le Streghe di Salem’, ultima fatica cinematografica del regista e rocker americano Rob Zombie, fosse proiettato nelle sale con un 'semplice' divieto ai minori di 14 anni.
L’insigne prelato (con un certo ritardo, dato che la pellicola ha fatto solo un breve passaggio nei cinema italiani) ha dichiarato: “Mi risulta che nella mia, come in tante città italiane, in diverse sale cinematografiche sia stato proiettato un film realmente e incredibilmente anticattolico: Le Streghe di Salem, un misto di satanismo, oscenità, offese alla liturgia e alle realtà ecclesiali che rasenta livelli difficilmente tollerabili per una coscienza autenticamente laica e civile, ancor prima che cristiana”.
Cotanta recensione ci ha spinto dunque con aspettativa a raggiungere la sala più vicina dove l’empio lungometraggio veniva proiettato, pregustando un’opera malefica di grande potenza evocativa, tale da meritare l’urlo d’indignazione d’una voce così autorevole (chiedendoci inoltre se Mons. Negri si sia limitato a visionare il trailer o se magari questo grido d’accorata denuncia sia nato nell’oscurità d’una sala cinematografica, dove l’esimio pastore potrebbe effettivamente essere stato sconvolto dalla furia iconoclasta delle immagini).
In verità dobbiamo dire che, conoscendo Rob Zombie per quello che è, cioè la più famosa gazza ladra dell’horror a stelle e strisce, ci siamo meravigliati piuttosto di trovarci al cospetto d’una pellicola sorprendentemente sobria, atmosferica, che si dipana lentamente, costruendo un inusuale senso d’inquietudine crescente fino ai dieci minuti finali in cui l’ispirazione genuina dell’autore, fatta di musica dalle sonorità estreme, satanismo da fumetto, puro citazionismo, sadismo weird e violenza, ha la meglio, senso e sottigliezza se ne volano fuori dalla finestra e finalmente Rob ci mostra sua moglie che cavalca un caprone e s’abbandona sulla sua groppa ad una specie di rodeo da spogliarellista fuori di testa.
Definire esile l’intreccio è riduttivo: la protagonista Heidi (interpretata appunto da Sheri Moon Zombie, moglie del regista), tossicomane DJ in una radio locale riceve l’album d’una misteriosa band, i Signori di Salem, e l’inquietante musica in esso contenuta, trasmessa via etere, induce in lei (e in una buona metà della popolazione femminile della città abbastanza sfortunata da averla ascoltata) una sorta di possessione.
Mentre combatte i propri demoni interiori (la dipendenza dalla droga e la tendenza a ciondolare in giro senza la parte di sotto del pigiama), Heidi si ritrova afflitta da sogni erotici inquietanti, demoniaci, che cominciano a confondersi con la sua vita reale finché, tra ammazzamenti gratuiti, visioni disturbanti e vicine troppo sollecite che le somministrano tazze su tazze di misteriosi te erbacei, si ritrova sempre più sotto l’effetto dell’incantesimo malevolo d’una congrega di streghe bruciate vive secoli prima…che hanno in serbo per lei un destino davvero speciale.
Sebbene l’impressione finale sia che Rob ami davvero molto le natiche della consorte (presenti così tanto sullo schermo che meriterebbero d’essere citate nei titoli di coda), ciò che Le Streghe di Salem mostra davvero senza vergogna sono le ‘influenze’ di maestri come Stanley Kubrick, William Friedkin, Roman Polanski, David Lynch, Andrej Zulawski ed altri.
Potremmo dire che Rob Zombie prenda un pizzico di Shining, una spolverata di Possession, appena una spruzzatina di L’Esorcista e vi grattugi sopra un po’ di Rosemary’s Baby prima di filtrare la mistura ribollente attraverso le sinapsi psichedeliche di Ken Russell per servirci infine la sua personale visione surreale fatta di neonati deformi, perfide vecchiacce, nani demoniaci e preti inclini allo stupro orale…accompagnando il tutto con una colonna sonora abbastanza stridente ed inquietante da ricordare quella di Eraserhead.
Avremmo capito, dopotutto, se l’indignazione risentita del vescovo di Ferrara fosse stata provocata dall’inverecondo saccheggio degli autori più insigni del cinema fantastico ma, a parte questo, la pellicola di Rob Zombie, più che un atto di sfida alla religione, rappresenta un’immersione cinematografica più o meno valida in un immaginario satanico-pop ormai sdoganato da anni in Occidente, diventato una moda tra tante già ai tempi in cui chi scrive – e lo stesso regista, probabilmente! – sfogava l’irruenza adolescenziale spaccandosi i timpani con ascolti ripetuti di Venom e Slayer a tutto volume nelle cuffie.
Per di più va argomentato che il divieto ai minori di 14 anni qui ritenuto insufficiente, sia stato applicato perché le commissioni preposte alla revisione dei film da programmare sono solite esprimere giudizi sulla base di criteri aconfessionali, basati sul senso dell’opportunità o meno di mostrare certe rappresentazioni piuttosto che altre e, a parte qualche nudità e qualche scena sanguinosa, nella pellicola di cui sopra non appare nulla di davvero sconvolgente a livello visuale, nulla almeno che non sia comparso mille volte nei videoclip in rotazione sui canali musicali o reperibili su piattaforme d’ampia diffusione come youtube (sorvolando per amor di patria su violenze ed orribili crimini reali serviti nei dettagli in prima serata da notiziari e programmi “d’approfondimento”).
E se questo tipo d’ingerenze sono comuni in una nazione come la nostra, che dà sempre eccessiva rilevanza all’opinione della Chiesa su qualunque argomento, d’altro canto fortunatamente non spetta ai vescovi decidere se mutilare o meno opere dell’ingegno di qualunque genere ma ad organismi competenti e secolari, dotati di criteri propri, mentre lo spettatore è diventato ormai piuttosto suscettibile quando sente lesa la propria libertà di scegliere cosa ascoltare, vedere, pensare…con buona pace del clero e pure dell’Aiart.
Ivan D. Woland