E a festeggiare l’emblematico anniversario, già annunciato l’altr’anno a Goa durante il Festival Internazionale del Cinema Indiano, è stato invitato, in occasione della sua distribuzione, Bombay Talkies: l’opera che riunisce quattro cortometraggi firmati dai suoi maggiori registi.
Al suo esordio, proprio nel maggio di un secolo fa con un film epico su una divinità hindu, i ruoli femminili, così come nell'antica tradizione greca, venivano ricoperti da attori camuffati da donne ma dall'avvento del sonoro a oggi la sua produzione ha raggiunto cifre da record planetario. Con ben 1.500 film all’anno in grado di incassare 2 miliardi di dollari che, secondo autorevoli stime, potrebbero raddoppiare nei prossimi 5 anni.
Questo imponente business è però conseguenza diretta della commistione con l'industria cinematografica americana che, pur di affondare le dita nella ghiottissima torta, ha trapiantato nel subcontinente lo star system di sua invenzione ma prodotto di conseguenza pellicole eccessivamente attente al box office e poco alla realtà dell'India moderna e alla sensibilità di una popolazione in continua crescita intellettuale e maturazione critica.
Come ha dichiarato alla stampa il regista Mahesh Bhatt: “Direi che oggi il problema è ancora quello della ricerca di uno stile narrativo che rappresenti l’India. I produttori e i registi non hanno fino ad oggi reso giustizia alle complessità e alle diversità presenti in questo paese, mentre è quello che dovrebbero cercare di fare“.
E proprio questa sarà la sfida e la missione della prestigiosa delegazione inviata al festival: mostrare come questa cinematografia intenda affrancarsi da Hollywood creando generi e trame capaci di rappresentare le contraddizioni e le complessità dell’India contemporanea.
E come da tradizione ormai consolidata, il film incaricato di essere l’evento d'apertura del festival, è una super produzione (127 milioni di dollari) di una delle solite super major americane (la Warner Bros., in questa occasione anche distributore). Il grande (fuori concorso) Gatsby, quarta trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald, 40 anni dopo la già celebratissima versione di Jack Clayton con Robert Redford e Mia Farrow.
Il neonato Gatsby, con le sue 3 D, tenterà di piacere soprattutto ai giovani con le musiche di Jay-Z, Beyoncé, Will.i.am ad allietare i sontuositechno party offerti dal personaggio principale; mezzi sicuramente necessari a giustificare ,qualunque essi siano, il fine o la fine visione del regista, quel Baz Luhrmann dei dimenticabili Giulietta + Romeo e Moulin Rouge. Ridondante, anche se spontaneo, chiedersi quanto ci azzecchino con l'ambientazione anni '20 del romanzo?
Gatsby-Di Caprio non sembra aver dubbi. Come intima già dal trailer: “il passato si può replicare!”.
E considerati i non felici esiti delle precedenti edizioni chissà se sia auspicabile e generoso dargli ragione.
Al botteghino, pardon … al pubblico, l'ardua sentenza.
Ma torniamo alla competizione:
tra i più attesi sicuramente Paolo Sorrentino che dopo la parentesi americana di This Must Be the Place con Sean Penn,non esattamente il trionfo che molti si aspettavano dopo il Premio della Giuria a Il Divo proprio a Cannes nel 2008, torna con Toni Servillo nel ruolo del giornalista disincantato in La grande bellezza, riduttivamente definito da qualcuno il sequel de La dolce vita.
I francesi Guillaume Canet con l’indispensabile Marion Cotillard, in Blood Ties e François Ozon con Jeune et Jolie.
Gli americani fratelli Coen che raccontano la musica folk degli anni 60 attraverso la vita di Dave Van Ronk in Inside Llewyn Davis.
Ma anche Steven Soderbergh con la vita della star musicale Liberace in Behind the Candelabra con Michael Douglas e Edward Norton, mentre Sofia Coppola aprirà la sezione Un Certain Regard con The Bling Ring. E ancora Roman Polanski da Leopold Von Sacher Masoch (La Vénus à la fourrure, con Emmanuelle Seigner), Nicolas Winding Refn, che dopo i suoi grandi Pusher (1, 2 e 3),vincitore per la miglior regia nel 2011 con Drive, riporta Ryan Gosling in una storia di malavita taiwanese in Only God Forgives, e l’attrice Berenice Bejo nell’ultima pellicola dell’iraniano vincitore del Miglior film straniero agli Oscar 2012, Asghar Farhadi, con Le passé.
Da segnalare Valeria Bruni Tedeschi in concorso con la sua terza pellicola da regista, Un Chateau en Italie, e Valeria Golino nella sezione Un certain regard con Miele, che attraverso il personaggio interpretato da Jasmine Trinca, ripropone diversamente il delicato tema dell’eutanasia, dopo La bella addormentata di Bellocchio, presentato all’ultimo festival di Venezia.
Grandi nomi anche tra i giurati: Steven Spielberg, Agnes Varda, Jane Campion, Nicole Kidman, Daniel Auteuil, Ang Lee e sopra tutti, una delle platinate che hanno infiammato la golden age Hollywoodiana tra gli anni ’50 e ’60, Kim Novak, tra le eroine Hitchcockiane quella che ha interpretato il maggior numero di pellicole del grande regista inglese, protagonista e promoter del restaurato Vertigo (1958), l’Ospite d’Onore di questa edizione.
Vincenzo Basile