Oltre 1 milione: è questo l'allarmante numero di donne tra i 16 e i 70 anni che in Italia hanno subito violenza sessuale, mentre la stessa agghiacciante sorte è toccata alll’11% dei minori. Nel 70% dei casi l'incubo si consuma tra le mura domestiche. Un dato allarmante, tenendo conto di quanti, tra simili episodi, non vengono denunciati.
L'indignazione e l'orrore aumentano, poi, quando si scopre che chi ha commesso il reato nella maggiorparte dei casi era già stato denunciato in passato: molte volte la vittima, abusata per l’ennesima volta, non ha la possibilità di raccontare nuovamente la sua esperienza poiché, spesso, troppo spesso, i reati sessuali sfociano in omicidio.
Ci si chiede allora qual è, o quale debba essere, il ruolo del carcere se gli ex detenuti, una volta liberi, continuano a perseverare nell’ignobile reato. Si sta così cercando di eliminare il problema alla radice, iniziando un processo di riabilitazione proprio all'interno delle carceri.
Così nasce l’esclusivo progetto “Soft” (Sex offenders full treatment), uno speciale trattamento che interesserà i detenuti rinchiusi per reati sessuali, quelli che nella subcultura carceraria sono definiti “gli infami”, mentre nel gergo di psicologi e operatori penitenziari sono i ”sex offenders”: l’iniziativa andrebbe a ridurre di oltre 5 volte il rischio di recidività passando dal 17% al 3,2%.
Le carceri incluse nel progetto su scala nazionale saranno Rebibbia e Cassino per il Lazio, San Vittore, Opera e Bollate per la Lombardia, Pesaro per le Marche ed infine, per la Campania, Secondigliano e Poggio Reale. Il progetto Soft avrà una durata biennale, interessando 400 detenuti di diverse nazionalità, età e cultura, per un costo di 630 mila euro.
L’innovazione consisterebbe nel fatto che la ‘terapia’ mira alla prevenzione della ricaduta tramite il rafforzamento dei fattori protettivi, come autostima e capacità relazionali. Molte volte, infatti, il comportamento aggressivo è legato a problemi di personalità molto comuni come deficit relazionali, distorsioni cognitive o difficoltà nel gestire le emozioni.
Promotori dell'iniziativa, basata sul modello teorico americano “Good lives model”, sono il garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, i Provveditorati dell’amministrazione penitenziaria di Lazio, Campania, Lombardia e Marche, la Seconda Municipalità di Napoli, i Cipm di Milano e del capoluogo campano, le università ‘La Sapienza’ di Roma e quella di Liegi insieme a Carla Maria Xella, psicologa e psicoterapeuta del Centro italiano per la promozione della mediazione di Milano.
La dottoressaha illustrato il progetto che, spiega, “prevede trattamenti di gruppo dal momento dell’ingresso in carcere, con gruppi motivazionali pre-trattamentali, nei primi otto mesi del progetto. E nei successivi dieci mesi un’unità di trattamento intensificato.”
“Inoltre - continua Xella - quando il detenuto esce dal carcere avrà come punto di riferimento un centro esterno”. Per la dottoressa ci sono buone speranze di riuscita: “Nei programmi sperimentali abbiamo avuto solo 3 recidive su 140 detenuti. L’idea di prendere in carico i sex offenders dal momento del loro ingresso, trattarli durante la pena e seguirli dopo l’uscita, può risultare vincente per tutta la società”.
Entro 3 mesi si saprà se il progetto Soft sarà approvato e finanziato dalla Comunità europea in quanto partecipante a un bando della stessa Comunità su “call” della Criminal justice.
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