di Camillo Maffia
Gli sviluppi relativi alla gestione delle calamità naturali in Abruzzo sono sempre più allarmanti e offrono purtroppo, invariabilmente, un quadro emblematico dello stato di un Paese che fatica tanto a prevenire i momenti di crisi quanto a rialzarsi. Secondo l'ANSA a Teramo sono 91 le famiglie sgomberate dalle loro abitazioni questa settimana; altre 15 possono fare rientro in casa dopo la presentazione della scheda AEDES o dei lavori effettuati.
Il totale delle ordinanze emesse dal sindaco di Teramo, con le 235 dell’ultioma settimana, è aumentato fino a 1.654: gli sfollati sono 4.681. Con gli sgomberi arriva a 1.023 il numero dei nuclei familiari assistiti con il contributo di autonoma sistemazione, il cui costo ammonta a oltre 712 mila euro, mentre 127 famiglie hanno fatto ricorso all'assistenza alberghiera. Su 5.577 sopralluoghi richiesti, ne sono stati effettuati 5.385. Risulta però che i contributi agli sfollati siano in ritardo di mesi.
Inoltre la scarsa lungimiranza degli interventi governativi è purtroppo ancorata a una prospettiva assistenziale che oggi dà il sussidio e domani, quando il sussidio sarà finito, lascia le regioni stremate e senza risorse, in quanto la pressione fiscale resta invariata a eccezione di una sospensione delle imposte che è ben lungi dall'essere risolutiva.
Dal barista che in seguito al sisma ha sopportato l'esodo da territori già a rischio spopolamento al professionista che è stato costretto a lasciare lo studio, tutti pagheranno le stesse tasse di prima. Il governo offre l'assistenza alle fasce più deboli della popolazione, questo sì; ma essendo l'assistenza stessa soggetta a quanto pare a tempi biblici, la miope visione che mira a tamponare anziché guarire i territori piagati non riesce neppure quel poco che si era proposta.
Non solo: il modo in cui è gestito l'aspetto fondamentale della ricostruzione, cioè quello edilizio, appare in certi casi incomprensibile. Prendiamo una vicenda emblematica, i cui sviluppi proseguono a Teramo anche in queste ore. Secondo quanto racconta il proprietario di uno studio, il condominio riceve nello scorso dicembre un'ordinanza di sgombero, un provvedimento urgente dovuto ai danni all'edificio che sono stati provocati dalle scosse di agosto e ottobre.
Il mese seguente la scheda AEDES redatta in seguito al sopralluogo riconosce un danno di categoria “C” (parzialmente inagibile”); seguono le 4 scosse di terremoto del 18 e l'ordinanza di sgombero dal suo studio professionale. Costretto dunque a lasciare il suo studio, il professionista richiede la scheda AEDES, che risulta però non disponibile, e fa domanda di delocalizzazione. Un ulteriore sopralluogo ad aprile conferma la categoria “C”.
Il proprietario riferisce che viene avviato il procedimento per il riconoscimento del beneficio solo pochi giorni fa; di lì a poco riceve finalmente la scheda AEDES dietro nuova richiesta, da cui risulta però che vi sono state “correzioni” determinanti in relazione all'inagibilità del suo studio, al punto che il danno è stato dequalificato da “C” a “B”. Nel frattempo, i lavori di messa in sicurezza sono già stati avviati inevitabilmente sulla base di un esito di tipo “C”.
Insomma, il proprietario racconta che l'edificio è stato declassato, cioè sono stati dequalificati dei danni che avrebbero dovuto semmai aggravarsi in seguito al terremoto del 18 gennaio. Dove, come e quando sono state fatte queste modifiche, si domanda il condomino? Da casi come questi si capisce bene in che modo sta avvenendo la ricostruzione, con quali garanzie per i terremotati e con quali effetti per l'economia della regione.
Fioccano, nel frattempo, bandi su bandi per i lavori e per il personale tecnico: appalti che non possono non suscitare interrogativi in merito alle singolari “revisioni” dello stato degli edifici come quella già esemplificativamente descritta. Inutile qui ricordare come i crolli dovuti alle frane, al maltempo e al terremoto siano da mettere in diretta correlazione coi decenni di speculazione edilizia che hanno letteralmente devastato quelle zone del Centro Italia.
La triste verità è che per ora nessuno si è realmente assunto le gravissime responsabilità della pessima gestione in Abruzzo, a cominciare dai soccorsi. I media hanno parlato prevalentemente dell'hotel Rigopiano, dove apprendiamo con orrore e amarezza che alcuni turisti si recano addirittura a scattare i selfie, al punto di aver causato la protesta dei parenti delle vittime; ma vi sono anche altre storie che andrebbero ricordate, altrettanto emblematiche del modo in cui le autorità preposte hanno fatto fronte all'emergenza.
Un ragazzo, Ivan Marinelli, ha perso il padre Claudio e il fratello Mattia il 17 gennaio nel corso della nevicata iniziata alle 16.00 circa. Come fece notare a suo tempo David Gramiccioli, che intervistò Marinelli in un video reperibile su YouTube, i tre erano andati a cercare viveri: il vice prefetto chiederà poi alla madre perché non ci sono andati prima, essendo prevista la nevicata, e la madre risponderà che lo stipendio era arrivato proprio quel giorno. Vanno quindi a cercare benzina, rifornimenti, farmaci: è difficile, perché l'elettricità non c'è. Il ragazzo racconta che da Santacroce (TE) arrivano a Teramo, ma non ci sono spazzaneve dalle 16.00, cioè dall'ora esatta in cui è cominciata la nevicata.
L'unico è sulla statale, non sulla provinciale che stanno percorrendo per tornare al paese finché, inevitabilmente, la macchina si blocca e chiamano i carabinieri.
Benché l'auto si sia bloccata tra due stazioni dei carabinieri, a quanto riferisce Marinelli, le forze dell'ordine gli dicono che nessuno può andare a salvarli; telefonano quindi a un compaesano, perché avverta almeno la madre. Sono trascorse, nel frattempo, cinque ore da quando sono partiti: la macchina si è fermata alle 21.15; il compaesano risponde che entro un'ora sarà lì, finalmente, uno spazzaneve.
Questo in realtà non arriverà mai, ma loro non lo sanno e si preoccupano, prima che per se stessi, per la madre, che soffre di cuore e starà impazzendo in preda all'ansia. Perciò, come spiegherà poi il ragazzo, il padre conclude che, se tanto deve arrivare lo spazzaneve, conviene incamminarsi a piedi e avanzano dunque nella neve ormai alta intorno ai novanta centimetri. È ancora il padre a insistere col ragazzo affinché vada avanti per avvertire la mamma: lui è costretto a fermarsi, per via del dolore all'anca di cui soffre. Procedono tutti e tre fianco a fianco per i primi quattrocento metri, quindi Ivan li distacca e soltanto dopo due ore raggiunge un primo paese. La neve è così forte che neppure riesce a vederlo, gli arriva fin sotto la vita: finalmente, quasi in ipotermia, raggiunge casa.
Per tutta la notte il paese chiama i soccorsi, fino a quando, secondo quanto afferma il ragazzo, non gli rispondono neanche più. “Ci sono i tabulati, quelle chiamate alla prefettura risultano”, insisterà: “Non ci hanno creduto”. I corpi dei due saranno rinvenuti privi di vita solo due giorni dopo. Ricorda Marinelli fra le lacrime: “Mattia non è tornato per restare insieme a papà. Hanno lasciato mio padre e mio fratello una giornata intera sotto la neve. La dignità dove va a finire? Mio padre non se lo meritava... Non voglio vendetta: chiedo giustizia per papà e Mattia, perché non riesco a dormire la notte. Non posso stare così, ho ventisette anni". La Procura ha chiesto l'archiviazione dell'inchiesta: nessuno è responsabile. Come sempre: nessuno è responsabile, né per i crolli, né per i mancati soccorsi, né per i morti.
Ricordiamo che in Abruzzo, nel gennaio scorso, ai problemi causati dal terremoto si sono sommati quelli frutto di un maltempo improvviso e senza precedenti. Nei guai è finita, tra gli altri, l'ENEL, la società che avrebbe dovuto assicurare l'energia elettrica anche in caso di tormenta e che invece non ha saputo provvedere alle più basilari esigenze dei cittadini rimasti senza luce mentre la bufera imperversava, i soccorsi latitavano e, di lì a poco, anche la terra avrebbe tremato.
Ma se da un lato c'è voluto più di un mese per l'avvio delle pratiche per i risarcimenti (dopo la grottesca proposta iniziale per cui 700 mila abruzzesi si sarebbero dovuti recare presso i cinque punti vendita nella regione) e perfino per la rimozione definitiva dei gruppi elettrogeni installati durante la fase d'emergenza, dall'altro possiamo riportare il caso di un teramano che a marzo risponde alle richieste dell'ENEL che pretende paghi le bollette del gas, spiegando che il suo appartamento è stato sgomberato e dichiarato inagibile, dunque il rapporto è da considerarsi risolto; per tutta risposta, pochi mesi dopo l'azienda lo diffida per omesso pagamento della fornitura, nonostante questa fosse stata interrotta e sigillata dal Comune.
Ecco, se non è questo uno spaccato dell'Italia non sapremmo trovarne uno migliore. Il cittadino prima resta al buio a causa di una catastrofe e poi, perduta la casa in seguito al disastro causato da un'altra catastrofe, lo stesso ente che l'ha lasciato senza luce lo diffida per omesso pagamento a sgombero avvenuto. Oltre al danno, la beffa.
Ecco, insomma, l'Italia: il cittadino abbandonato, smarrito, privato degli strumenti da un Paese che a sua volta non è più in grado di elaborare un'analisi delle cause che hanno provocato un simile sfacelo.
Ci si sarebbe aspettati un serio accertamento delle responsabilità, non necessariamente per punire, ma quantomeno per risarcire chi è stato danneggiato e soprattutto per potersi almeno permettere d'ipotizzare un sistema diverso. Questo, a conti fatti, non è accaduto. Al 20 giugno la quantità di macerie da rimuovere era stimata tra 128 e 160 mila tonnellate: tra poco sarà trascorso un anno dalle prime scosse e la verità è che non è cambiato quasi niente.
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