C’è una classifica a cui siamo mestamente abituati ormai, che fotografa annualmente e in modo mirabile lo stato dell’arte dell’università italiana. Si tratta della graduatoria mondiale stilata dal World University Rankings da Qs, giunto alla dodicesima edizione.
Per vedere un ateneo italiano bisogna scorrere la lista fino al 187esimo posto, dove “svetta” il Politecnico di Milano, seguito dall’Università di Bologna (204) e dall’Università degli Studi di Roma - La Sapienza (213). Via via qualche altro oltre la trecentesima posizione in poi.
Non proprio un colpo d’occhio di cui andar fieri, che dovrebbe tuttavia caratterizzare l’ingresso di ogni Facoltà con un poster in formato gigante a mo' di pungolo e di monito, in vista della stagione imminente di scioperi occupazioni e quant’altro connota il consueto appuntamento con il cosiddetto autunno caldo degli studenti, secondo le logiche sterili, ammuffite e tardo sessantottine, fra "diritto allo studio", "no alle "privatizzazioni" e la recente chicca della “ripubblicizzazione dei saperi”. Il tutto secondo un modello d’approccio che resta agli antipodi rispetto a quello che permette di scalare le classifiche e che viene puntualmente criminalizzato, non fosse altro perché si richiama agli odiati (da una certa "intellighenzia" che va per la maggiore nei movimenti studenteschi) Yankee.
Per la cronaca e a proposito, il Massachusetts Institute of Technology (Mit) è per la quarta volta consecutiva la migliore Università al mondo. Al secondo posto si piazza Harvard University, mentre Cambridge University e Stanford sono a pari merito al terzo. (A.M.)
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