Tredici giorni di silenzio. E il marito di Nadezhda Tolokonnikova, la componente del gruppo punk Pussy Riot, in carcere per aver cantato una preghiera anti-Putin in una cattedrale di Mosca, denuncia la scomparsa della giovane, una “punizione” da parte delle autorità decise a “tagliarla fuori dal mondo”.
La cantante, condannata a due anni di carcere e da settembre in sciopero della fame per protestare contro le condizioni di lavoro e le minacce di morte subite dal personale della colonia penale in Mordovia dove era detenuta, sarebbe stata trasferita intorno al 21 ottobre (da quando, cioè, il marito Petr Verzilov non ha più notizie di lei).
Nadezhda sarebbe stata fatta salire su un treno diretto a Chelyabinsk, negli Urali, dove un passeggero l'avrebbe vista il 24 ottobre. “Nessuno sa niente, non conosciamo le sue condizioni di salute – ha dichiarato il padre della ragazza, Andrei Tolokonnikov - Non abbiamo prove che sia ancora viva, se sta male, se è stata picchiata”.
La notizia della scomparsa della leader delle Pussy Riot è stata però smentita immediatamente dal Servizio penitenziario federale russo che ha fatto sapere che Nadezhda è stata trasferita all'interno di un nuovo istituto di pena e che, come stabilito dal regolamento, i familiari saranno informati entro 10 giorni dal suo arrivo.
Ma, sostengono i familiari della donna, nessuna comunicazione sul luogo e sulle condizioni di salute della loro congiunta è loro pervenuta dalle autorità carcerarie. (F.P.)
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