Tra il caso di Enzo Tortora, di cui ricorre in questi giorni il trentennale dalla morte, e quello che vede oggi protagonista il generale dei Carabinieri Mario Mori si può “tirare un filo continuo” che in qualche modo lega due “vicende sconcertanti”.
In entrambi i casi – sostiene l'avvocato Gian Domenico Caiazza – "la vicenda processuale trascende il suo merito, per assumere un valore simbolico". In sostanza, nei due processi si verifica uno scontro che non ha a che fare con il merito, per cui “l'assurdità tecnica dell'imputazione”, viene trascurata, perché “la partita è un'altra” e investe "la reputazione e la credibilità politica della procura".
Questi aspetti sono stati oggetto - fra gli altri - dell'Assemblea pubblica organizzata dal Partito radicale, per la giustizia giusta, nel corso della quale Mario Mori ha fatto la sua prima uscita pubblica, dopo la sentenza di condanna.
“Imputato da più di 15 anni in servizio permanente”, nel ricostruire i fatti, Mori si è detto “sereno” e pronto “a combattere sicuro di essere nel giusto, di aver rispettato la leggi e, soprattutto, l'etica professionale".
L’Assemblea sul “caso Mori” è stata una delle iniziative organizzate dal Partito Radicale in occasione degli anniversari della scomparsa di Emilio Vesce, Enzo Tortora, Marco Pannella e Adelaide Aglietta, impegnati nella lotta per la “Giustizia Giusta”. L'incontro ha dato lo spunto per ribadire i capisaldi di una delle battaglie storiche del movimento radicale, partendo da un'altra tessera di cui si compone il triste mosaico sul “caso Italia”.
- Assemblea pubblica per la giustizia giusta: il Caso Mori(audiovideo da radioradicale.it)
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