Continua la battaglia per vivere liberi fino alla fine attraverso una nuova storia di dolore, quella di Irene, e con un appello ai politici: “Il biotestamento non basta. Ecco quali pene patisce chi non riesce ad andare in Svizzera”.
Irene è morta il 24 Agosto scorso, 2 giorni dopo aver concluso le procedure per ottenere l’aiuto medico alla morte volontaria in Svizzera ma senza riuscire a raggiungerla, consumata a trent’anni da un adenocarcinoma polmonare diagnosticato due anni prima al quarto stadio. Una malattia che non ha impedito, nell’ultimo biennio, a lei e al marito Andrea di essere felici, viaggiare, adottare un cane, sposarsi. Aveva già contattato la clinica Dignitas nel gennaio 2016, per poi fare richiesta di assistenza al suicidio nell’agosto 2017 e contattare Marco Cappato al ritorno da un viaggio in camper in Nord Europa.
Purtroppo Irene non ha fatto in tempo: è morta subito dopo aver presentato tutta la documentazione necessaria ed effettuato il pagamento dell’ultima trance per avviare la richiesta di “luce verde provvisoria”. Un iter che ha richiesto molto tempo. Troppo. Irene avrebbe voluto essere padrona del suo destino ma, soprattutto, avrebbe voluto che il suo caso potesse aiutare chi oggi, nel nostro Paese, lotta per fare in modo che venga discussa ed approvata in Parlamento una legge sul fine vita che possa garantire a tutti di decidere autonomamente e di morire degnamente.
E’ lei il nuovo volto della campagna per la legalizzazione dell’Eutanasia in Italia, attraverso un VIDEO rivolto agli “illustri rappresentanti del popolo italiano“, “La battaglia di Irene”: un accorato e doloroso appello del marito, Andrea Curiazi, diffuso dall' Associazione Luca Coscioni.
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