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16/11/24 ore

Il palDissesto di Radio Radicale (tra sostantivi e aggettivi)


  • Antonio Marulo

Caro Direttore,

ti scrivo queste righe in forma di lettera pubblica, mentre ascolto la diretta di Radio Radicale, occupata nell’ultimo week end di febbraio dalla programmazione della convenzione della Marianna del rediVino Giovanni Negri, che mette al centro il dibattito sulla giustizia, senza la quale “l’Italia non riparte”. Ottimo servizio pubblico (e radicale), ho pensato: la Radio è sul pezzo, come si usa dire, con la giustizia e i suoi guasti. Si tratta infatti del cavallo di battaglia dei radicali, che “l’organo della Lista Pannella” fa bene a mettere in evidenza tutte le volte che si presenta l'occasione, anche quando il protagonista è colui che fino a una settimana prima della morte del leader storico parlava solo per dirne peste e corna, esercitandosi nel proverbiale lancio della merda. Il merito, chissà, va alla revisione del palinsesto in queste ultime settimane annunciata; o forse no.

 

Un dubbio infatti mi sorge, se penso alla storia che mi lega da quasi 18 anni a Quaderni Radicali e al suo supplemento telematico, nuova Agenzia Radicale. Quest’anno la rivista politica da te fondata e diretta compie 40 anni: un bel traguardo, ma anche un punto di ri-partenza, come ho avuto modo di sottolineare, introducendo la presentazione del numero 113 su Amnistia e questione giustizia, del quale, per l’appunto, gli affezionati ascoltatori di Radio Radicale non sono minimamente a conoscenza, dopo un mese dall’uscita. Eppure, si tratta del suddetto cavallo di battaglia. O sbaglio? In sostanza, un’altra buona occasione per diffondere i contenuti di una campagna storica, che Quaderni Radicali ha posto in primo piano nel fascicolo di febbraio 2017.

 

Debbo dire che la cosa non mi stupisce più di tanto. Siamo ormai al come volevasi dimostrare… perché, in filigrana, l’ostracismo da parte di Radio Radicale, che si accompagna a quello di tutta la cosiddetta galassia pannelliana, nei confronti dell’ “eresia” rappresentata dalla tua rivista è datato nel tempo. Per quanto mi riguarda e per mia esperienza diretta, almeno da quando ho iniziato a collaborare con te nell’ormai lontano 2001. Questo è uno degli aspetti sui quali non mi sono mai fatto una ragione plausibile, perché stridente e in contrasto con le prediche della religione di Torre Argentina: un classico esempio di vizi privati e pubbliche virtù, percepibile realmente solo da chi vive o ha vissuto dall’interno, “fuori ma dentro il palazzo”, le vicende incomprensibili che poi mi hanno portato a scegliere di non essere mai iscritto al partito carismatico, pur avendo la spudoratezza di sentirmi, nei fatti e nei comportamenti concreti, molto più radicale dei sedicenti tali con singola, doppia e tripla tessera, con o senza pacchetto/paccotto.

 

In merito, mi beccai anche un sonante e pubblico stronzo, in un bar di Chianciano Terme, dall’attuale assessore alla supercazzola della giunta Sala al Comune di Milano, a margine del Congresso che unse segretario di Radicali Italiani Mario Staderini. Anche allora c’era la polemica sulla patente di radicale, ottenibile con l’iscrizione - in quel caso pare, e peggio ancora, anche solo in qualità di associato a Radicali Italiani; così come oggi si sproloquia sulla radicalità dei vari soggetti della diaspora, nelle more della campagna per i 3000 iscritti entro il 2017 al PRTT.

 

In proposito, Valter Vecellio, nel corso di un filo diretto su Radio Radicale, ha sottolineato che “si è Radicali se si è iscritti, o non lo si è. Altrimenti si è radicale aggettivo e non radicale sostantivo”. Ecco, mai come adesso, e non solo per le vicende legate a Quaderni Radicali e Agenzia Radicale, di fronte al miserabile spettacolo che contrappone i cosiddetti boniniani ai pannelliani “ortodossi”, sono più che mai convinto a restare un “aggettivo” che si batte e resiste, insieme con gli “eretici” di Quaderni Radicali,  per il patrimonio di idee di Pannella e non per la sopravvivenza delle sue sette allo sbando.

 

 


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