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16/11/24 ore

Dibattito intorno al 40° Congresso Straordinario del Partito Radicale. Intervento Angiolo Bandinelli



Il 9 luglio scorso, ai sensi dello Statuto del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito, articolo 2, un terzo degli iscritti da almeno sei mesi al partito ha convocato il 40° Congresso straordinario del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, da giovedì 1 settembre (a partire dalle ore 14) a sabato 3 settembre, a Roma, presso il penitenziario di Rebibbia, Via Raffaele Majetti 75, con il seguente ordine del giorno:

 

  • relazione del Tesoriere;
  • saluti istituzionali del Ministro della Giustizia, del Direttore del DAP, del Direttore del penitenziario di Roma Rebibbia;
  • approvazione dell'ordine dei lavori, dell'ordine del giorno, del regolamento congressuale;
  • dibattito generale sullo stato del Partito;
  • Eventuali modifiche statutarie proposte in Congresso;
  • Approvazione della mozione;
  • Elezione degli organi.

  

Questo il comunicato dei convocatori del Congresso straordinario. Quaderni Radicali e Agenzia Radicale ritengono utile l’apertura di un dibattito precongressuale in questa fase critica e difficile dopo la morte di Marco Pannella.

 

Di seguito l’intervento di Angiolo Bandinelli

 

 

 

I radicali per l’alternativa

 

di Angiolo Bandinelli

 

Lo statuto del partito radicale versione pannelliana, votato a Bologna il 14 maggio 1967, era un documento straordinario. Rappresentava la rivoluzione della “forma-partito”, spazzava via le anchilosate, burocratiche, ripetitive formulazioni che su quel tema si erano incrostate da tempo immemorabile, almeno nella tradizione europea - non in quella americana, che si muoveva su altri binari. Le vecchie formule correnti tratteggiavano l’immagine di una organizzazione “di massa”, irreggimentata per la conquista del potere, anzi del Potere, obiettivo al quale ogni altra istanza o problema veniva subordinata o sacrificata. L’iscritto era, comunque e sempre, un militante votato all’obbedienza ai dettami e alla stessa “etica” della burocrazia centrale, una piramide culminante nel segretario-leader.

 

Il nuovo statuto radicale rovesciava quelle impostazioni: al centro del partito c’era il “chiunque” - italiano o no, uomo oppure donna, maggiorenne o meno  – che pagasse la quota annuale di tessera e rispettasse le mozioni congressuali votate a maggioranza qualificata. In filigrana questo partito, così poco organizzato per il potere, nutriva però una enorme ambizione: si poneva infatti sulla linea discriminante dell’alternativa al “regime”, quel regime che dopo la fine del fascismo - e in nome dell’antifascismo - si veniva coagulando  attorno a centri di potere rigidi e – col loro fronteggiarsi e destreggiarsi tra le costrizioni della guerra fredda e il gioco della democrazia -  intimamente legati da logiche più o meno identiche.

 

Cominciò così una avventura incredibile. Di fronte al blocco della partitocrazia sempre più aggressiva e vorace, un gruppo di inesperti giovani, senza un soldo in tasca, sollevò e impose nell’agenda politica pretese e obiettivi eccezionali, innovativi: divorzio e obiezione di coscienza, finanziamenti pubblici, riforma della giustizia, ecc., un elenco interminabile, quale nessun altro partito italiano aveva mai formulato. Attraverso i diversi obiettivi, tornava però sempre al centro il tema dell’alternativa, evocata nel nome di Salvemini o di Rossi, i solitari, irriducibili oppositori del “regime” come si presentava ai loro tempi.

 

Quel partito è durato  più di mezzo secolo, ha assunto una forma transnazionale (e transpartito) ha ampliato i suoi orizzonti, ha avuto come interlocutori il Dalai Lama o esponenti di piccole minoranze oppresse del centro-Asia o russe. Dovunque ci fosse ansia e desiderio di libertà, prima o poi ci sarebbe stata una presenza, una voce radicale.

 

L’alternativa non era un sogno, ma un obiettivo rigorosamente politico. Ciò che per altri partiti poteva essere un apprezzabile e concreto, tangibile conseguimento - la presenza nelle sedi amministrative locali, la partecipazione a Consigli di amministrazione, a centri di potere, ad ambitissimi strumenti mediatici, ecc., veniva posto in subordine, scartato senza esitazione: più la partitocrazia restringeva i propri orizzonti, più quelli del partito radicale si ampliavano. I diritti civili diventavano diritti umani, diritti universali, diritti dell’uomo in quanto tale, indipendentemente da razza, nazionalità, religione, ecc. L’alternativa era ormai vista come lucida opposizione alla crisi delle democrazie e dei diritti, alla perdita dei poteri del parlamento e dei parlamentari, che si veniva verificando non solo in Italia ma nel mondo. Il “transnazionale” diventava “universale”. E non per scelta, ideale o idealizzazione di quei radicali, di Marco Pannella, ma perché questa era ed è sempre più la condizione reale in cui tutto il mondo vive: vecchie e consolidate democrazie vacillano, costituzioni ideali grandiose (l’Unione Europea, il federalismo spinelliano) di sgretolano.  Il partito radicale, Marco Pannella in prima persona, ha presto avvertito i pericoli di questa deriva che sta rovesciando la storia degli ultimi secoli, intesa come storia del progresso e della libertà (Benedetto Croce...). Dietro di lui, il piccolo, sparuto partito radicale si è fatto testardamente carico di questi problemi, della loro contemporaneità e drammaticità.

 

Non tutto, non tutti gli iscritti: una parte, una maggioranza forse, si rifiuta di riconoscere queste priorità, ritiene sia necessario rovesciare la vecchia casacca, inventarsi un partito tutto nuovo. Lo fa frammentando gli obiettivi, moltiplicandoli, “nazionalizzandoli”, anche immiserendoli, nella convinzione che solo su questa strada si potrà incontrare la gente, farsi conoscere, raccogliere consensi.  Fa finta di non capire che questa è la strada che il grillismo sta seguendo con tutto il necessario cinismo, mettendo in campo una sorta di odio viscerale contro la “casta”, vista come responsabile di una decadenza che ha origini ben più profonde (proprio come Pannella aveva previsto). La via della protesta “caso per caso”, degli obiettivi “comprensibili” dalla gente è dunque saldamente occupata, non accetta altri interpreti. In più, su questa strada si rischia di svilire anche il nome di “radicale”, con tutto il carico della grande storia che quel nome evoca.

 

L’inseguimento testardo e orgoglioso della “alternativa” è intriso del ricordo e dell’esempio dei Salvemini  e dei Rossi - i grandi solitari del pensiero politico italiano. I rasdicali che sono fedeli a questi insegnamenti non vogliono mollare, non vogliono svendere: non una “eredità” ma un carico di profonda “attualità”. Sapendo benissimo che le difficoltà sono enormi, forse insormontabili. Ma sono sempre pronti anche a mormorare, tra sé e sé, il “to be or not to be”, il “vivere o morire” shakesperiano: l’esperienza drammatica ma salvifica che nobilita l’operare dell’uomo.

 

Dibattito intorno al 40° Congresso Straordinario del Partito Radicale. Intervento di Gianfranco Spadaccia

Dibattito intorno al 40° Congresso Straordinario del Partito Radicale. Intervento di Silvio Pergameno

 

 

 


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