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07/05/24

Science for peace, "La Chiave per l’Inte(g)razione: educare alla Cittadinanza Attiva"


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Lunedì, 19 Novembre 2012 18:22
  • Anna Mahjar-Barducci

“Pacifica convivenza in diversità e libertà”, titolo di questo panel, è un tema che mi tocca da vicino, avendo una madre marocchina-musulmana, un padre italiano-cristiano, un marito israeliano-ebreo – nato in Romania - e una figlia nata a Gerusalemme, che racchiude queste tante culture.

 


La Democrazia e il rispetto della diversità

 

Parlare di “Pacifica Convivenza”, soprattutto in “Libertà”, presuppone che i soggetti coinvolti di diverso credo, etnia, censo, orientamento sessuale vivano in uno Stato democratico, che promuove i valori della diversità e delle libertà individuali. Il pregiudizio, il razzismo, la xenofobia sono infatti gli strumenti che utilizzano da sempre le dittature – dal Terzo Reich ad esempi attuali come la Cina, il Bahrain o il governo centrale del Mali – per giustificare e affermare il proprio potere. Così, in Egitto, l’ex dittatore Hosni Mubarak discriminava la popolazione cristiana copta, perché “elemento di disturbo”.

 

Ricordiamo che prima di Piazza Tahrir, furono i Copti a rompere il muro della paura, manifestando nei mesi di novembre e dicembre 2010. In Algeria, invece, la popolazione berbera della Kabylia è discriminata dal potere centrale, che promuove il “Maghreb al Arabi” (Maghreb Arabo), escludendo così il carattere non-arabo e berbero del Nord Africa.

 

“Pacifica convivenza in diversità e libertà” diventa quindi sinonimo di Stato democratico. Ogni Stato che vuole essere democratico ha infatti il dovere di promuovere la “pacifica convivenza in diversità e libertà” sia all’interno del suo paese sia nei paesi in cui questo principio è violato.

 

Se infatti la democrazia non può essere esportata, può essere però promossa. Le dittature non riescono a trovare terreno fertile se il concetto di “pacifica convivenza in diversità e libertà” è incoraggiato tra la popolazione, perché la democrazia si ha quando l’individuo capisce che i suoi diritti sono garantiti quando anche i diritti dell’Altro lo sono.

“L’Altro – dopotutto – Sono Io” , come dice il comico franco-marocchino Gad Elmaleh.

 

 

L’immigrazione e le responsabilità dell’Europa


La crisi dell’Europa, oggi, non è soltanto economica, ma anche culturale. L’Europa sta fallendo sia nella promozione della convivenza in diversità al suo interno, sia nei paesi cosiddetti in via di sviluppo.

 

Il sostegno alle dittature, come in passato a quella dell’ex dittatore libico Gheddafi, e non ai movimenti liberali, ha dimostrato di essere fallimentare per l’Europa stessa. Il sostegno alle dittature crea, infatti, crisi sociali, umanitarie ed emergenza immigrazione in Europa.

 

La mancanza di libertà obbliga le persone a emigrare in cerca di speranza, libertà, dignità, lavoro. Nonostante ci siano delle evidenti responsabilità europee nel sostegno alle dittature, alcuni governi europei continuano a lamentarsi senza remora – pur non attuando alcuna politica efficace sull’immigrazione – di quegli stessi immigrati affamati, che scappano da terre senza libertà, dove i diritti umani sono negati con il beneplacito dell’Europa.

 

Se nel loro paese avessero avuto veramente un regime democratico, sarebbero in gran parte rimasti nelle loro terre, con i loro familiari. A nessuno piace allontanarsi dalle proprie radici. È giunto dunque il tempo, nella prospettiva del kairos evangelico, di adottare una politica coerente e consapevole, laica e liberale in particolare nei confronti dei paesi parte della koiné mediterranea; primo passo verso la regolamentazione dell’immigrazione.

 

Una volta, però, che l’immigrato si trova già in Europa, la soluzione ai pregiudizi e all’incomprensione reciproca è l’integrazione. Ma non attraverso il solo multiculturalismo, perché questo, senza integrazione, diventa soltanto sinonimo di ghettizzazione.

 

L’integrazione, che non è assimilazione come molti confondono, è l’omogeneizzazione delle popolazioni nella diversità della religione e della cultura d’origine, che normalmente potrebbe portare allo scontro se non venisse creato un sentimento di appartenenza comune che trascenda le differenze.

 

 

La scuola come strumento di inte(g)razione

 

La costruzione di questo sentimento dovrebbe essere - come lo è stato già in questo paese negli anni che hanno seguito l’Unità d’Italia - uno dei compiti della scuola, che deve ritrovare il proprio ruolo sociale. Gli immigrati di ogni fascia d’età possono trovare nel caso dei corsi serali accoglienza e imparare la lingua, acquisendo così i primi mezzi essenziali di inserimento sociale. Mentre alle seconde generazioni, la scuola offre loro opportunità e l’interazione con i propri coetanei. La scuola nei fatti è il loro primo e unico luogo istituzionale di accoglienza e di integrazione.

 

In questo senso appare evidente il ruolo insostituibile che assolve e dovrà assolvere anche in futuro la scuola pubblica nell’adempiere al suo compito costituzionale di rendere effettivo il principio dell’eguaglianza sostanziale .

 

E’ stato rilevato che nella convivenza fianco a fianco sui banchi di scuola in un percorso comune di crescita culturale, si vincono le chiusure della xenofobia e del razzismo. Nell’incontro personale ravvicinato si sviluppa, infatti, il senso della comune appartenenza all’Umanità: crescono empatia, amicizia, solidarietà, nascono amori prima non previsti .

 

Ma per giocare un ruolo di rilievo nella società e nella formazione delle future generazioni, la scuola deve cominciare ad allontanarsi dall’anacronistica tradizione nozionistica, per seguire invece un obiettivo di formazione di cittadinanza attiva. Solo in questo modo si può costruire il senso di appartenenza di un giovane figlio di immigrati, che comprende a sua volta il riconoscimento stesso da parte dei suoi coetanei e della società dominante.

 

 

Pedagogia interculturale

 

Nell’obiettivo di formazione di cittadinanza attiva, è necessario elaborare una pedagogia interculturale. Essendo madre e dovendo quindi non solo per lavoro, ma anche per mia figlia, leggere libri per l’infanzia, ho notato che, per quanto riguarda il caso italiano:

 

- I libri per insegnare l'Italiano come Lingua 2 (lingua seconda) ai bambini non fanno sentire il bambino che sta apprendendo l’idioma parte della società italiana. Il protagonista che insegna l'Italiano ha sempre la carnagione bianca e ha entrambi i genitori italiani. Non ci sono – per esempio - bambini di colore che insegnano l'Italiano. Il bambino di colore è di fatto automaticamente classificato come straniero.

 

- Nelle fiabe per bambini, scritte e pubblicate in Italia, i protagonisti sono solo bianchi.

 

- I bambini di colore si trovano soltanto nelle collane dedicate alla mondialità. Ma anche in questo caso, i bambini italiani sono bianchi e quelli stranieri sono di diverso colore. Non esistono inoltre figli nati da matrimoni cosiddetti "misti".

 

- Infine, i protagonisti dei libri non hanno mai una "doppia" cultura. Sono solo italiani, o solo – per esempio – senegalesi. Si istiga quindi il bambino figlio di immigrati a recidere le proprie tante radici e a circoscriverle a un "territorio", la patria dove si abita o quella dei propri genitori.

 

L’editoria, i mass-media e la politica devono quindi cominciare a contribuire all’azione educativa della scuola, promuovendo una società multietnica e multilaterale ed eliminando gli stereotipi. Il fatto è che i media e la politica sono rimasti ancorati a modelli identitari che non esistono più, per cui un ragazzo con gli occhi a mandorla che vive a Prato dalla nascita, dovrebbe parlare per forza con la “l” al posto della “r”, e crea invece stupore il fatto che abbia la tipica “c” toscana, provocando addirittura grandi risate. Non ci si accorge, per ignoranza e per un certo razzismo individuale, dei cambiamenti e della dinamicità dell’Italia in divenire.

 

 

L’Europa e la dimensione trans-culturale

 

Infine, lo strumento più importante di integrazione ci dovrebbe essere offerto dall’Europa, al cui progetto non vorrei smettere di credere.

Il concetto di integrazione dell’immigrato e delle secondi generazioni deve quindi essere rivisto anche rispetto alla costruzione europea. Il processo dell’integrazione della stessa Europa offre prospettive allo sviluppo della dimensione trans-culturale delle identità. Questa dimensione suppone il pluralismo e la costruzione di un progetto politico cosmopolita, che trascenda le definizioni culturali.

 

E’ questa dimensione trans-culturale che può agire da vettore all’apertura verso l’immigrazione extracomunitaria (ma anche intracomunitaria) e a sua volta all’integrazione dei soggetti.

 

La costruzione di una dimensione trans-culturale è proprio il compito della scuola, che deve concepire la diversità come valore e opportunità di crescita nel confronto, nella logica della convivenza costruttiva. Questo è l’unico modo per prevenire le conseguenze a volte violente di una mancanza di integrazione e per promuovere una “Pacifica convivenza in diversità e libertà”.

 

 

(intervento alla Conferenza mondiale di Science for Peace - Milano, 17 novembre 2012) 

 

*Anna Mahjar-Barducci, giornalista, ricercatrice e scrittrice italo-marocchina. Vive tra Gerusalemme, Washington e Roma. E’ presidente dell’Associazione Arabi Democratici Liberali, che ha sede a Roma. E' nel comitato di redazione di Quaderni Radicali e Agenzia Radicale. E’ autrice di “Italo-Marocchina. Storie di Immigrati Ma-rocchini in Europa” (Ed. Diabasis, 2009), “Pakistan Express. Vivere (e Cucinare) all’Ombra dei Talebani” (Ed. Lindau, 2011, tradotto in Polonia) e “La Mia Scuola è il Mondo” (Ed. Melagrana, 2012).



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