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05/12/25

PD: senza nettezza di scelte la presenza dei cosiddetti riformisti è vana


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Lunedì, 27 Ottobre 2025 15:01
  • Luigi O. Rintallo

 

 

 

La principale conferma della profondità della crisi politica italiana proviene dalla crescita esponenziale dell’astensionismo nelle votazioni. La lettura ottimistica di quanti vi vedono un segno di avvenuta maturità democratica, che vedrebbe tale comportamento dell’elettorato italiano allinearsi a quello già in atto da tempo di altri Paesi, è smentita dalle ragioni che sono all’origine di questo drastico calo, intervenuto essenzialmente nell’ultimo trentennio.

 

Da un lato, vi è l’obiettiva constatazione che, nel contesto odierno, la politica nazionale è di fatto incapace di agire su eventi e situazioni, determinati invece da entità esterne verso le quali c’è una sostanziale e generale subalternità; dall’altro, le opzioni di scelta sulla scheda elettorale sono quanto mai distanti dal rispondere ai bisogni e ai desideri della società, in termini non ideologici ma connessi ai dati della realtà concreta.

 

Purtroppo, il confronto tra le forze politiche non sembra proprio prendere atto di questo stato delle cose e continua ad avvitarsi attorno ai modi per strappare quella maggioranza dei consensi che, ogni giorno che passa, risulterebbe sempre più virtuale che reale. Anche il convegno della componente cosiddetta riformista dentro il PD (Crescere. Competitività, salari, welfare, sicurezza, Europa. Il contributo dei riformisti), svoltosi a Milano il 24 ottobre scorso, non si sottrae da questo tipo di impostazione.

 

Il motivo che ha mosso i partecipanti (dai parlamentari Lorenzo Guerini e Lia Quartapelle alla vice-presidente del Parlamento UE Pina Picierno e ai sindaci Giorgio Gori e Beppe Sala) è la preoccupazione che il PD debba elaborare una proposta pragmatica e riformista, se vuole strappare elettori per superare il centrodestra.

 

Al di là del fatto che i termini di questa proposta rimangono estremamente vaghi, il problema sta tutto nell’assoluto disimpegno nel cercare di dissipare le contraddizioni insanabili di un partito come il PD nato dalla fusione a freddo di due oligarchie partitocratiche (le due sinistre democristiana e post-comunista) più volte descritte su «Quaderni Radicali» (dal 2007 a oggi). In assenza di una netta presa di posizione sul mancato recepimento della “questione liberale”, dentro il centro sinistra come pure del centrodestra, è ben difficile che la politica italiana riesca a riconquistare lo spazio di azione e di considerazione presso i cittadini.

 

Ciò significa adottare un metodo prima che un programma, per cui – ad esempio – si abbia ben chiaro che a far forte una democrazia è la coerenza di intenti e l’aderenza ai principi dello Stato di diritto, a cominciare dall’amministrazione della giustizia che non può essere minata irresponsabilmente dai cedimenti alle derive corporative.

 

Su ciò, per esempio, la voce dei riformisti dentro il PD è quanto mai flebile, accreditando così il dubbio che le loro iniziative non possano che esaurirsi nel limitato orizzonte elettoralistico e dell’allocazione dei vari incarichi.

 

Altrettanto può dirsi sul piano dei rapporti interni al PD stesso, dove non basta certo alimentare “occasioni di confronto” se poi non si procede nel senso di un definitivo chiarimento sulla natura fortemente ideologizzata che continua ad essere impressa dai suoi dirigenti, con la convinzione assolutamente infondata di essere i portatori esclusivi di valori al solo scopo di delegittimare gli avversari del momento, sui quali piomba un anatema di tipo quasi religioso. 

 

Sacrificare sull’altare dell’unità del partito tale chiarimento rende vana la presenza stessa della cosiddetta componente dei “riformisti”.

 

(foto da il Riformista)

 

 



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