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05/12/25

Striscia di Gaza tra utopia e realtà


Categoria: STILE LIBERO
Pubblicato Martedì, 24 Giugno 2025 09:28
  • Giovanni Lauricella

Negli ultimi mesi si è assistito a un crescente movimento intorno allo slogan "Gaza libera", divenuto simbolo di protesta globale e alimentato da tragici eventi definiti, a seconda delle interpretazioni, come genocidi o massacri. Oltre le cronache, ormai pervasive e amplificate dalle narrazioni mediatiche e politiche spesso paragonabili per insistenza ai bombardamenti che devastano Gaza, risulta fondamentale focalizzarsi sulla questione centrale: la creazione di uno Stato palestinese.

 

Sebbene il tema sembri evidente, raramente viene affrontato in termini di effettiva fattibilità. Un elemento cruciale tende a sfuggire: il territorio destinato a questo ipotetico Stato – la Striscia di Gaza – è estremamente ridotto, con una superficie di soli 365 chilometri quadrati. Per contestualizzare meglio, basta citare alcuni esempi: il Principato di Monaco copre 208 km² con meno di 39.000 abitanti, Andorra ha 468 km² e poco più di 87.000 residenti, mentre la Moldavia, grande 33.846 km², ospita circa 2,5 milioni di persone.

 

Al confronto, Gaza concentra oltre 2 milioni di abitanti in uno spazio incredibilmente ristretto, con una densità abitativa quasi insostenibile. Un riferimento ancora più immediato è Roma, che si estende su 1.280 km², più del quadruplo della superficie di Gaza, e con una popolazione leggermente maggiore. Nonostante ciò, molti romani lamentano problemi di vivibilità e spazi insufficienti. Immaginare gli abitanti di Roma compressi in metà del territorio di Gaza evidenzia subito quanto sia complesso gestire una simile realtà.

 

Allo stesso modo, Manhattan – con i suoi 59,1 km² e circa 1,63 milioni di abitanti – riesce a reggere la densità abitativa grazie a infrastrutture avanzate e uno sviluppo urbanistico verticale che a Gaza è impraticabile per mancanza di risorse economiche e tecniche. Con questi dati si comprende come la creazione di uno Stato palestinese nella sola Striscia appaia poco realistica. Spesso, i sostenitori dell'indipendenza sembrano ignorare queste limitazioni oggettive, preferendo abbracciare un ideale romantico di rivendicazione nazionale senza affrontare le condizioni basilari necessarie per garantire dignità e benessere a milioni di persone

 

Oltre allo spazio ridotto, va considerata una problematica socio-economica altrettanto complessa. A differenza del Principato di Monaco – dove il benessere si basa su ricchezze consolidate e sull'assenza di pressioni produttive –, gli abitanti di Gaza dovrebbero sviluppare un'economia sostenibile partendo da basi già gravemente fragili. Ma in quale contesto? E con quali risorse? La precarietà odierna rende difficile anche solo immaginare dei miglioramenti senza interventi radicali che al momento restano inesistenti. Un altro aspetto critico è rappresentato dalla forte crescita demografica della Striscia. Nonostante guerre, carestie e distruzioni, la popolazione continua ad aumentare rapidamente: nel 1967 a Gaza vivevano circa 354.700 persone; oggi sono oltre 2 milioni, metà delle quali minori.

 

Questo pone seri interrogativi su sviluppo sostenibile e risorse future.

 

Anche qualora uno Stato palestinese dovesse concretizzarsi nella Striscia di Gaza, appare evidente che le rivendicazioni territoriali si estenderebbero inevitabilmente verso Israele e non verso il mare. Non si può considerare l’opzione del confine meridionale con l’Egitto, che tende a respingere i palestinesi non meno degli israeliani, mantenendo spesso la frontiera chiusa. Questo comportamento è accettato dai palestinesi e dalla comunità internazionale solo per effetto di una presunta amicizia o contesto politico che potrebbe sembrare paradossale. 

 

La Striscia di Gaza, troppo stretta e densamente popolata, difficilmente potrebbe diventare un luogo in grado di garantire una vita dignitosa ai suoi abitanti. Più che un elemento di armonia o un simbolo pacifico, rischia di rimanere una costante fonte di tensioni e conflitti. Pensare allo Stato palestinese come base per una pace stabile sembra più un atto utopico che una visione concreta. La situazione attuale sembra piuttosto evocare l’idea di una tregua temporanea, destinata però a sfociare nelle ben note tragedie del passato. 

 

Ci si può davvero riferire alla Striscia come a uno "Stato"? Oppure rappresenta solo un ulteriore pretesto per alimentare nuovi scontri? Simile discorso vale anche per la Cisgiordania, una seconda enclave che, pur con dinamiche diverse, ripropone problematiche analoghe. Un altro aspetto spesso trascurato riguarda il modello di vita immaginato per il futuro dei palestinesi: quale potrebbe essere? Sfortunatamente, queste popolazioni, soprattutto nei contesti più svantaggiati del mondo, sembrano non riuscire a offrire risposte chiare o concrete. 

 

Il loro orizzonte culturale appare ridotto al rifiuto dei valori occidentali, mentre contemporaneamente aspirano all’accesso ai vantaggi delle nazioni occidentali, come dimostrano i massicci flussi migratori. Per coloro che si ritengono “pensatori progressisti” o per la comunità internazionale in generale, queste considerazioni possono sembrare marginali. Le principali istituzioni globali appaiono infatti molto attente alle dinamiche militari della questione, ma poco inclini ad affrontare gli aspetti sociali e politici più complessi, elementi che dovrebbero definire il loro ruolo nel contesto delle negoziazioni. 

 

Tuttavia, confinare i palestinesi in un territorio limitato come Gaza non sembra essere una soluzione lungimirante o sostenibile. È fondamentale che siano gli stessi palestinesi a esprimere in modo chiaro quali siano le loro aspirazioni e necessità autentiche, un passo che finora non è stato compiuto in modo convincente. 

 

Purtroppo, gran parte della leadership politica palestinese è caratterizzata da atteggiamenti autoritari e distruttivi, focalizzati esclusivamente sull’opposizione ad Israele. Questa ossessione per la distruzione dell’altro pare essere l’unico contenuto tangibile proposto, mentre una visione costruttiva su alternative politiche o sul benessere della propria popolazione resta tristemente assente.

 

 



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