E’ piaciuto agli spettatori, giovani e anziani, "Il cappotto", che va in scena a Napoli, dal 3 all’8 dicembre, al teatro Mercadante con la regia di Alessandro D’Alatri. Vittorio Franceschi, che ricopre anche il ruolo di protagonista, lo ha tratto dal famoso racconto del russo di origine ucraina Nicolaij Gogol (1809/1852). La trama è piuttosto nota.
Un modesto impiegato ministeriale, Akakij Akakievic, impegna tutto il suo denaro per farsi confezionare un cappotto nuovo e muore dal dolore quando questo gli viene rubato. "Credo che un grave errore sarebbe stato quello di trasferire la storia di Akakij nei giorni nostri… Non ce n’è bisogno. Siamo tutti vecchi Pietroburghesi." ha detto Franceschi.
Vero è che la figura del povero travet, pignolo esecutore del proprio lavoro di copista, tra i colleghi che lo prendono in giro, e quelle dei ladri che lo rapinano si possono incontrare anche dei nostri tempi. E la somiglianza con l’oggi è anche nelle parole per così dire rassicuranti del gendarme a cui chiede aiuto: "Non vi preoccupate. Domani mattina andate a denunciare il furto al Commissariato e la legge farà il suo corso. Ma non vi andate troppo presto, se no non trovereste nessuno."
Eppure quanta diversità con gli uomini d’oggi in questi ottocenteschi personaggi! Non solo Akakij è contento del suo lavoro, ma sarebbe contento anche del suo vecchio cappotto sebbene poi vada in estasi per quello nuovo. E’ contento in fondo anche il sarto ubriacone, che si dice artista incompreso ma è soddisfatto del suo lavoro e del bel cappotto che ha confezionato. E’ cuor contento anche l’ubriacone senza lavoro, che pensa di essere un poeta, è cordiale e offre da bere a tutti. Il fatto è che tutti questi personaggi hanno fede, fede nella vita, e sentimenti di fiducia rassicuranti che ci mancano del tutto. Hanno anche fiducia nello Zar e nella Grande Russia.
In altre opere Gogol sottolinea gli aspetti meno encomiabili dell’umanità e la corruzione diffusa nella burocrazia. Si pensi all’ "Ispettore generale", portato nei cinema nel 1949 con un irrefrenabile Danny Kaye. Ma qui, ne "Il cappotto", aleggia un’aria di vita tranquilla, che viene rotta, improvvisamente, dall’evento delinquenziale. Ma, poco dopo, ritorna il sereno: Akakij, dice la sua padrona di casa, verrà presto dimenticato e sarà come se non fosse mai esistito.
Ricordo il mio primo incontro con Gogol. Leggevo le " Veglie", che evocavano ai miei occhi paesaggi di un mondo fantastico, bianchi di neve e vivi di colori. Colori che poi ritrovavo in un altro russo dalla fantasia accesa, Marc Chagall (1887/1985).
Quei colori mi incantavano. Avrei voluto che, nella ricostruzione scenica, ma è un desiderio pretenzioso, lo scuro colore delle carte burocratiche che connotavano la grigia vita del travet, fosse stato più decisamente interrotto da più vivi colori e da qualche spruzzata di bianco di neve.
Adriana Dragoni